Odessa

Ucraina 2005 – Episodio III: Odessa

Il trasfertone: Yalta – Simferopol – Odessa

Terminato il nostro soggiorno a Yalta, abbandoniamo il tugurio dello Slavo al primo albeggiare: lo lasciamo aperto col mazzo di chiavi sul tavolo, tanto non c’é nulla da rubare.
Ci rifacciamo a ritroso tutto il tragitto fino a Simferopol, dove arriviamo con un discreto anticipo, così da fare rifornimenti per affrontare il lungo viaggio in treno (10 ore!) che ci attende. Il bar della stazione ha una dotazione di alimentari inquietante: alla fine optiamo per l’acquisto di una serie di friggioni decisamente unti e dal contenuto dubbio, pagati una cifra irrisoria (e meno male).

Il treno è un direttone di sola 2a classe, ma più che dignitoso: noi abbiamo posto in uno scompartimento con 4 letti a castello ma, poiché ci siamo solo noi, possiamo metterci comodi e farci i cavolacci nostri. I problemi sono la mancanza dell’aria condizionata ed il fatto che il finestrino non stia giù – quest’ultimo inconveniente, peraltro, brillantemente risolto da ZoT con un’opera di alta ingegneria degna del miglior Leonardo.

Neanche un’ora che siam partiti ed è già chiaro che sarà un inferno.
La temperatura ambiente è di circa 70 gradi; l’effetto devastante dei friggioni ingeriti, induce una copiosa produzione sudorifera di sostanze chimiche probabilmente tossiche; quelli non ingeriti (benché cellophanati) emettono esalazioni tipo mensa di serie z… ben presto il nostro scompartimento diventa off limits anche per la scafatissima capo-carrozza, che scomparirà per il resto del viaggio!

E poi non ci passa più: hai voglia a fare due chiacchere, due passi in corridoio, una visita al bagno finché è ancora frequentabile, leggere un po’… dieci ore di viaggio son tante in queste condizioni. Iniziamo spiegarci come mai c’era posto solo sul treno diurno!!
Anche il paesaggio fuori dal finestrino non è niente di che, tanta campagna spezzata qua e lá dai palazzoni di qualche centro urbano, parecchie catapecchie, un paio di laghi con l’immancabile fabbricone sulle sponde a vanificarne l’immagine bucolica e poi continue soste in mezzo al nulla, o in stazioni intermedie dal nome impronunciabile.

Infatti i treni ucraini hanno l’abitudine di fare fermate lunghe una ventina di minuti, durante le quali i passeggeri scendono a fumare ed a sgranchirsi un po’.

Durante una megasosta ZoT decide di buttarla sull’alcool, nella speranza di stordirsi abbastanza per dormire fino all’arrivo, e acquista due birroni giganti!
Alla fine, giungiamo ad Odessa quando ormai è buio, in agghiacciante ritardo. E ci siamo pure persi i fuochi artificiali! In quel giorno si celebrava la festa dell’indipendenza.

Sono le 22 passate quando prendiamo possesso della nostra stanza al centralissimo Hotel Tsentralna [vul Preobrazhenska 40], una prestigiosa vestigia sovietica in via di demolizione con soffitti altissimi, stanze a misura di reggimento e l’uomo del KGB perennemente seduto sui divani a guardia della scalinata che conduce alle camere; in tre giorni, qualunque fosse l’orario in cui passavamo, lui era lí. Stakanov, mangiati il fegato!

Siamo stanchissimi e provati dall’interminabile viaggio ma abbiamo anche parecchia fame e, dopo la delusione di Yalta, vogliamo capire subito come butta qui, perciò doccia veloce ed in un battibaleno siamo in giro sulla via pedonabile [vul Derybasivska] che è un po’ il centro della città. Qui è tutto un fiorire di ristoranti, locali e negozi di lusso e soprattutto c’è un bel passaggio: noi ci piazziamo ai tavolini del Mick O’Neill’s Irish Bar [vul Derybasivska 13], punto di incontro di tutti gli stranieri ed aperto 24 ore su 24. Lì ci gustiamo un paio di pinte ed il viavai, assistendo per la prima volta al curioso fenomeno del 2×1, finché crolliamo miseramente sotto il peso della massacrante giornata e ci trasciniamo in hotel.

Il 2×1

E’ una scena che ad Odessa si presenta con una frequenza imbarazzante: due strafighe da paura in compagnia di un occidentale. Abbiamo giusto uno di questi terzetti incongrui seduti ai tavolini accanto al nostro e, anche senza volerlo, ci capita di sentire i loro discorsi (parlano tutti inglese, cosa di per se abbastanza sorprendente in Ucraina).

Lui è il classico Big Jim americano sulla trentina, fisico da palestrato e sorriso a 112 denti. Loro, due creature celestiali poco più che minorenni, sicuramente uscite da qualche agenzia di modelle. Dopo due minuti che li sentiamo parlare vogliamo uccidere lui. Dopo dieci minuti vogliamo ancora uccidere lui ma anche fargli patire tante di quelle sofferenze che l’inquisizione è nulla al confronto.

In sostanza, l’impressione che abbiamo (oltre alla indubitabile certezza che l’americano è un coglione completo oltreché un pallone gonfiato) è quella di una specie di esame, come se il tipo avesse la divina possibilità di scegliere una tra le due gnocche e loro stessero facendo del loro meglio per compiacerlo. Il fatto che ad Odessa vi sia la più alta percentuale di agenzie matrimoniali nell’universo può forse aiutare a spiegare il fenomeno?
Come al solito, comunque, non abbiamo capito abbastanza del 2×1 per poter volgere la situazione a nostro favore e proporre al mercato un innovativo 4×2…

La Scalinata!

Odessa non è una città gigantesca. Oltre alla zona centrale, con la mitica scalinata che Fantozzi ha reso immortale nell’immaginario degli italiani [“Per me, la corazzata Kotionkin è una cagata pazzesca!”], ed un certo qual gusto cosmopolita che la pervade, non è famosa per altro. Il suo fascino risiede piuttosto in quell’alone di mistero, di proibito e di borderline che il suo nome ha sempre evocato e che ancora oggi richiama, tanto che la stessa Lonely invita a non allontanarsi troppo dalle zone turistiche centrali, paventando non si sa bene quali immaginari pericoli. Invito che noi, da bravi zingari, ovviamente non cogliamo.

La mattinata, dopo una inusuale sveglia ad opera dell’idraulico dell’albergo, chiamato per sistemare non si sa qualche tubo che perdeva, la trascorriamo alla ricerca dell’agenzia Eugenia [vul Rishelevska 23] per l’indispensabile ricevuta della prenotazione dell’hotel.

Disbrigate le pratiche burocratiche, ci tocca il classico tour dei luoghi di interesse turistico di Odessa (pochi) che, come da copione, facciamo terminare con la tanto attesa conquista della scalinata Potëmkin!

Questo storico momento ce lo gustiamo come si deve.
Dall’alto la scalinata non sembra niente di che, ma sappiamo bene che non tributarle il giusto rispetto è un errore da non commettere: Lei non perdona!!! Infatti l’astuto architetto l’ha concepita con gradini più stretti al vertice e più larghi in fondo, così che l’effetto prospettico la fa apparire dall’altro molto più corta di quanto sia in realtà, mentre dal basso sembra interminabile!
Dinnanzi a noi, la vista si apre sul porto commerciale sul Mar Nero, con l’immancabile “bastimento carico carico di” appena giunto, mentre alle spalle vi è una sorta di passeggiata nel verde [Prymorsky bulvar] con lampioni replica di quelli a gas del 19simo secolo e con i consueti pittoreschi personaggi a caccia di turisti.

Il nostro primo pensiero è per la immediata messa in scena, ovviamente in chiave moderna, del capolavoro di Sergej M. Ejzenstejn (la carrozzina, l’occhio della madre, i soldati) qui e subito: avremmo anche individuato gli attori da coinvolgere, carrozzina compresa, se non che la presenza di un paio di gendarmi, evidentemente piazzati lì a bellaposta a protezione degli ignari infanti, ci invita alla prudenza… Peccato.

Percorriamo allora tutta la scalinata in discesa, facciamo le indispensabili foto di rito e ci accingiamo alla più ardua impresa della risalita (192 gradini, mica cazzi), non senza prima aver notato che l’illusione ottica funziona eccome. Malgrado conoscessimo l’escamotage, ci tocca comunque fermarci a metà scalinata per riprendere fiato e ne approfittiamo allora per documentarci sui tragici fatti che l’hanno resa famosa.

Gli eventi storici sono quelli dell’ammutinamento, a causa delle razioni di cibo infestate dai vermi, dei marinai della nave da guerra Potëmkin Tavrichesky alla fonda nel porto di Odessa nel 1905 e di come l’ammutinamento fu la scintilla che fece scoccare una rivolta contro gli Zar.

E’ finzione cinematografica, invece, il massacro dei cittadini, insorti in aiuto dei marinai, sulla Scalinata Potëmkin ad opera delle truppe zariste; di cittadini innocenti ne furono uccisi parecchi in tutta la città, ma non lì sui gradini.


Dopo il clou della scalinata la vacanza ha raggiunto il culmine, siamo un po’ come svuotati e ci trasciniamo verso il pomeriggio senza un perchè… finché non realizziamo che dobbiamo ancora trasformare in biglietto cartaceo la nostra mail di conferma del volo Odessa-Kiev con Aerosvit e sarebbe bene farlo finché l’ufficio della compagnia (all’aeroporto) è ancora aperto.
Ecco quindi un nuovo obiettivo per i due zingari. Con assoluta sicurezza, saltiamo sulla giusta marshrutky ed arriviamo allo scalo. Qui assistiamo ad una scena d’altri tempi, con la tipa che compila i due biglietti a mano…. di fronte ai nostri sguardi perplessi. Inutile dire che non parlava una parola di inglese.

Il ritorno in hotel è un’avventura surreale, dato che becchiamo l’autista più lento della terra! Per motivi misteriosi, la prima parte del lunghissimo tragitto la facciamo a 15 all’ora in una strada provinciale deserta. Dicono che uno dei modi migliori per capire una città sia salire su un bus e lasciarsi trasportare in giro senza fretta e senza un perchè, ma sfidiamo chiunque a mantenere i nervi saldi dopo una prova del genere… a piedi, tempi di Ale sulla maratona a testimoniarlo, ci avremmo messo di meno.

La sera abbandoniamo il centro e ci buttiamo verso l’Arkadia, la spiaggia di Odessa, che passa per essere un po’ la zona della perdizione per i giovani della città ed il luogo dove fanno bella mostra di sè tutta una serie di locali, bar e discoteche.
Si raggiunge tranquillamente in una 20na di minuti di economico taxi; regolare o abusivo (basta mettersi sul ciglio della strada ed alzare un braccio) fa lo stesso.

Qui è tutta una teoria di luoghi di divertimento che sembra di essere a Rimini.

Anche i nomi, gli ambienti ed i prezzi delle disco richiamano quelle occidentali: si va infatti dall’Itaka all’Ibiza, al Luxor. Non ci stupisce quindi constatare, come nella migliore tradizione zingara, che risultiamo assolutamente trasparenti agli occhi delle numerose bellezze, di età media parecchio bassa, che ci circondano in pista. Ci consola comunque il fatto che, ai gruppuscoli di connazionali brutti che inevitabilmente incrociamo (e ce ne sono), non sembra andare meglio. Tiè!

Ritorno a casa

Penultimo giorno (la mattina dopo si parte) nella terra dei cosacchi e, come tradizione vuole, lo si dedica allo svacco più abbruttente ed alla ricerca dei vari regalini e souvenir da portare ad amici/parenti/fidanzate/colleghi rimasti a casa. Tanto più che la giornata è pessima (piove) e quindi il nostro programma iniziale di allungarci in spiaggia, va a farsi benedire. Agli acquisti dedichiamo la mattinata, vagando tra le innumerevoli bancarelle del parco [City Garden] all’estremità della Derybasivska, dove si trova veramente di tutto e di più, mentre trascorriamo il pomeriggio girando a zonzo per la zona semicentrale di Odessa, decisamente meno rassicurante e moderna del centro.

Per la cena ci trattiamo bene nel caro e turistico Paparazzi [vul Yekaterynynska 8], mentre il resto della serata va via tranquillo al Fidel-Havana Club [vul Derybasivska 23], dove ascoltiamo musica dal vivo senza alcuna velleità di sorta.

Il mattino dopo si parte! Il viaggio è abbastanza articolato: dopo il volo interno per Kiev, Ale ha un triangolone Kiev – Varsavia – Milano, mentre ZoT farà tappa a Praga, dove trascorrerà il sabato sera, per ripartire alla volta di Malpensa la mattina seguente.
All’aeroporto di Odessa facciamo conoscenza con il nastro trasportatore umano: trattasi di un nerboruto addetto che prende di peso le valigie e le imbarca sull’aereo! Coerentemente a tanta modernità, il nostro aeromobile è…

ad elica, di solidità alquanto dubbia, che scopriremo in seguito appartenere a compagnia aerea inserita nella black list europea! Per fortuna però, la prima tappa del nostro viaggio si conclude senza incidenti.

Peccato che all’aeroporto di Kiev si verifichi un atroce ritardo negli imbarchi per cause sconosciute. ZoT la prende con filosofia e si tampina un’ucraina che attende di imbarcarsi, mentre Ale è tesissimo perché teme di perdere la coincidenza per Milano e fa massa con un altro centinaio di simil profughi a guardare speranzoso il tabellone delle partenze. Per fortuna però tutto si concluderà per il meglio.

Dopodiché, le strade dei due zingari si sono separate, fino alla prossima avventura! Ma questa è un’altra storia.

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