È considerato uno dei pittori più rappresentativi del Rinascimento e uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Non solo pittore, ma anche architetto e poeta, Raffaello Sanzio ha segnato la storia dell’arte occidentale.
Nonostante la sua breve vita, l’artista ha lasciato un ingente numero di opere riconosciute tra i maggiori capolavori dell’arte. Ecco le opere più belle da vedere in Italia.
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Dove si trovano le opere di Raffaello in Italia
- Dama con liocorno, 1506 – Galleria Borghese, Roma
- Gli affreschi di Raffaello a Villa Farnesina, 1518 - Roma
- Stanze di Raffaello, 1508 - 1524 – Musei Vaticani, Città del Vaticano
- Sposalizio della Vergine, 1504 – Pinacoteca di Brera, Milano
- Autoritratto, 1506 – Gallerie degli Uffizi, Firenze
- Madonna col Bambino e San Giovannino detta “Madonna del Cardellino”, 1506 - Gallerie degli Uffizi, Firenze
- La Velata, 1515-1516 - Palazzo Pitti, Firenze
- La trasfigurazione, 1518-1520 – Musei Vaticani, Pinacoteca, Città del Vaticano
- La Fornarina, 1520 – Palazzo Barberini, Roma
- Deposizione di Cristo, 1507 – Galleria Borghese, Roma
- Trinità e Santi, 1505-1521- Cappella di San Severo, Perugia
- Deposizione di Cristo, 1507 – Galleria Borghese, Roma
(Foto: © Roberto Serra - Iguana Press/Getty Images)
Dove vedere le più belle opere di Raffaello in Italia
- Dama con liocorno, 1506 – Galleria Borghese, Roma
La giovane rappresentata è una fanciulla fiorentina, come si evince dal prezioso abito alla moda dei primi anni del Cinquecento, la gamurra. Il dipinto, del quale non si hanno notizie documentarie certe, fu commissionato, con molta probabilità, come dono di nozze. Lo suggeriscono alcuni dettagli decorativi, in particolare le pietre del pendente (rubino e zaffiro), simboli delle virtù coniugali e del candore virginale della sposa, e la perla scaramazza, simbolo dell’amore spirituale e della femminilità creatrice, già dall’età antica.
La stessa collana d’oro, caratterizzata dal nodo, è un chiaro riferimento al vincolo matrimoniale. Allo stesso modo è stata interpretata la presenza del piccolo unicorno che le giace sul grembo, animale fantastico tratto dalla letteratura medievale, attributo di verginità. L’esecuzione del dipinto dovrebbe risalire agli anni del soggiorno fiorentino, precedenti il trasferimento di Raffaello a Roma.
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- Gli affreschi di Raffaello a Villa Farnesina, 1518 - Roma
La Villa Farnesina di Roma è un palazzo emblematico dell’architettura rinascimentale del primo Cinquecento, affrescato dai più grandi artisti del periodo. In particolare la Loggia di Amore e Psiche è il capolavoro di Raffaello Sanzio che dipinse sulla volta un ciclo di affreschi ispirati alle vicende di Amore e Psiche, tratte da Le metamorfosi, o L’asino d’oro di Apuleio. Concepita come luogo di svago e delizia che si affacciava sul giardino, la loggia costituiva l’ingresso principale della villa trasteverina del ricco mercante e banchiere senese Agostino Chigi. Nella loggia Raffaello esprime un nuovo concetto di decorazione pittorica, realizzando una perfetta osmosi tra l’interno e l’esterno, sia attraverso l’impianto figurativo dell’intera volta con la favola di Amore e Psiche, sia mediante la tecnica esecutiva dei festoni di Giovanni da Udine. Così la loggia aperta sul giardino si trasforma in un unico pergolato vegetale che celebra la storia d’amore raccontata dal mito.
(Foto: © DEA/A. DE GREGORIO/Getty Images)
- Stanze di Raffaello, 1508 - 1524 – Musei Vaticani, Città del Vaticano
Le quattro stanze dette di Raffaello costituivano parte dell'appartamento situato al secondo piano del Palazzo Pontificio, scelto da papa Giulio II come propria residenza e utilizzato anche dai suoi successori. La decorazione pittorica fu realizzata da Raffaello e dai suoi allievi tra il 1508 e il 1524.
La prima è la Stanza della Segnatura, originariamente libreria personale nonché ufficio di papa Giulio II, famosa per La scuola di Atene.
L’ affresco che ricopre l’intera parete ovest della sala è un omaggio ai più grandi pensatori, filosofi e matematici del tempo di Raffaello. La seconda è la Stanza di Eliodoro dove poter ammirare La liberazione di San Pietro. La Stanza dell’incendio di Borgo, invece, presenta affreschi che illustrano le aspirazioni politiche e le storie tratte dalle vite di alcuni pontefici predecessori di Giulio II. Infine, la Sala di Costantino, destinata a ricevimenti e cerimonie ufficiali, fu decorata dagli allievi di Raffaello sulla base dei disegni del maestro, mancato prematuramente prima della fine dei lavori.
(Foto: © Leemage/Corbis via Getty Images
- Sposalizio della Vergine, 1504 – Pinacoteca di Brera, Milano
Raffaello dipinse lo Sposalizio della Vergine all’età di 21 anni, quando si trovava ancora a Città di Castello, il centro umbro dove lavorò da giovane prima di trasferirsi in Toscana e poi a Roma. E aveva sicuramente visto l'opera di Perugino, uno dei suoi maestri, che rappresentò lo stesso soggetto per una chiesa di Perugia. L’opera di Raffaello colpisce per l’armonia tra spazio, figure e architettura in un perfetto impianto prospettico, che rispetta le indicazioni fornite dal trattato De prospectiva pingendi di Piero della Francesca. Tutti gli elementi della composizione sono legati da relazioni matematiche di proporzione e sono disposti secondo un preciso ordine gerarchico. Il dipinto, dunque, esprime appieno l’opinione di Raffaello sulla bellezza, intesa come ordine astratto di rappresentazione geometrica. L’artista inoltre riteneva compito dell’artista “fare le cose non come le fa la natura ma come ella le dovrebbe fare”.
(Foto: ©DeAgostini/Getty Images)
- Autoritratto, 1506 – Gallerie degli Uffizi, Firenze
In questo dipinto è stato riconosciuto l’autoritratto di Raffaello Sanzio giovane, anche in base al confronto con l’altro autoritratto del pittore visibile nell’affresco raffigurante la Scuola d’Atene nella stanza della Segnatura in Vaticano, eseguito tra il 1509 e il 1511 su incarico di Papa Giulio II. Nonostante siano realizzati con tecniche diverse, in entrambi i ritratti l’artista si rappresenta con identiche fisionomia ed espressione, la pettinatura e il taglio dei capelli sono quelli tipici del paggio di corte del Rinascimento e il cappello scuro, della foggia poi detta “raffaella”, è quello usato in genere dai pittori così come la veste scura da cui spunta appena la camicia bianca, la semplice tenuta da lavoro del pittore.
La fortuna di questo dipinto è certamente legata al mito di Raffaello, celebrato in vita e quasi mitizzato, per la morte precoce, avvenuta nel 1520 a soli trentasette anni.
- Madonna col Bambino e San Giovannino detta “Madonna del Cardellino”, 1506 - Gallerie degli Uffizi, Firenze
La tavola è stata dipinta durante il soggiorno di Raffaello a Firenze, dove studiò i grandi maestri fiorentini e lavorò per alcune grandi famiglie di mercanti. Questo dipinto gli fu commissionato per le nozze di Lorenzo Nasi con Sandra di Matteo Canigiani, celebrate il 23 febbraio 1506. La composizione piramidale riflette l’impressione profonda che l’artista riportò dal perduto cartone per la “Madonna col Bambino e Sant’Anna” di Leonardo, già esposto all’inizio del secolo alla Santissima Annunziata, e dalla “Madonna col Bambino di Bruges” di Michelangelo, scolpita entro l’estate del 1506. Attraverso lo studio delle leggi proporzionali della natura e delle opere del Perugino, di Fra’ Bartolomeo e di Leonardo, Raffaello riuscì a creare immagini di una bellezza ideale, armoniosa e perfetta nella sua semplicità, ma anche vitale e dinamica per l’intenso scambio di sguardi e di gesti che legano le figure e per la varietà aggraziata delle espressioni, rese più naturali dallo sfumato leonardesco, impiegato anche per dissolvere il paesaggio all’orizzonte nell’atmosfera. In quest’immagine così moderna restano tuttavia degli elementi simbolici della tradizione devozionale, come il piccolo testo sacro che tiene in mano la Vergine, segno della sua fede e della prefigurazione del sacrificio di Cristo; sacrificio evocato anche dall’innocente fragilità del cardellino che San Giovannino porge a Gesù per farglielo accarezzare.
- La Velata, 1515-1516 - Palazzo Pitti, Firenze
Il velo posato sui capelli, da cui deriva il titolo con cui è noto questo splendido ritratto di Raffaello, indica la condizione di donna sposata, ma rimane incerta l’identità della protagonista. Secondo Giorgio Vasari, si tratterebbe del ritratto della donna amata da Raffaello fino alla morte, Margherita Luti detta la Fornarina, ma il sontuoso abito della donna e i gioielli fanno piuttosto pensare al ritratto di una giovane nobildonna, eseguito da Raffaello su commissione.
La donna è posta di tre quarti, con una spalla arretrata come già aveva sperimentato per i ritratti Leonardo da Vinci, ampliando la profondità spaziale e la modulazione delle luci e delle ombre. Lo sfondo scuro fa risaltare l’incarnato rosato della giovane e la luminosità della veste chiara di seta.
Il gesto che la donna compie portandosi la mano destra al cuore è forse un’espressione di devozione e amore, ma la posa dell’altro braccio che si protende in primo piano è un escamotage per mettere in risalto la ricchezza materica della manica e i raffinati giochi di luce sulle pieghe. A guardar bene, è proprio la veste che diventa protagonista della raffigurazione attraverso gli eccezionali virtuosismi pittorici di Raffaello, mentre il volto della donna, leggermente arretrato e parzialmente in penombra, svela, attraverso i profondi e vibranti occhi scuri, il mondo interiore della protagonista. Eseguito da Raffaello dopo il suo trasferimento da Firenze a Roma, dove arrivò nel 1512, il dipinto costituisce uno degli apici della ritrattistica del maestro urbinate.
(Foto: © ALBERTO PIZZOLI/AFP via Getty Images)
- La trasfigurazione, 1518-1520 – Musei Vaticani, Pinacoteca, Città del Vaticano
L'opera è definita da Giorgio Vasari "la più celebrata, la più bella e la più divina". La Trasfigurazione è l'ultimo dipinto eseguito da Raffaello e si configura come il testamento spirituale dell'artista. Il Cardinal Giulio de' Medici commissionò due dipinti destinati alla cattedrale di S. Giusto di Narbonne, città di cui il cardinal de' Medici, futuro papa Clemente VII, era divenuto vescovo nel 1515: la Trasfigurazione per la quale fu dato incarico a Raffaello e la Resurrezione di Lazzaro, oggi alla National Gallery di Londra.
La Trasfigurazione non fu inviata in Francia, poiché dopo la morte di Raffaello nel 1520 il cardinale la trattenne e la donò in seguito alla chiesa di S.
Pietro in Montorio dove fu collocata sull'altare maggiore. Nel 1797, in seguito al Trattato di Tolentino, quest'opera, come molte altre, fu portata a Parigi e restituita nel 1816 dopo la caduta di Napoleone. Fu allora che entrò a far parte della Pinacoteca di Pio VII, pontefice dal 1800 al 1823. Nella pala sono raffigurati due episodi narrati in successione nel Vangelo di Matteo: la trasfigurazione in alto, con il Cristo in gloria tra i profeti Mosè ed Elia, e, in basso in primo piano, l'incontro degli apostoli con il fanciullo ossesso che verrà miracolosamente guarito dal Cristo al suo ritorno dal Monte Tabor.
- La Fornarina, 1520 – Palazzo Barberini, Roma
La Fornarina è un dipinto a cui Raffaello fu molto legato e che conservò nel suo studio fino alla morte. L’identità della donna raffigurata non è certa, ma molti studiosi hanno rintracciato in lei Margherita Luti, musa ispiratrice e donna amata da Raffaello, la stessa ritratta anche ne La Velata. Figlia di un fornaio di Trastevere, la donna veniva perciò chiamata la Fornarina. Non si ha notizia di chi fosse il committente dell’opera e ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi che Raffaello l’abbia dipinta per sé, negli ultimi anni della sua vita. Che si tratti o meno dell’amante di Raffaello, dietro questo volto imperfetto, dai tratti marcati, si nasconde una rappresentazione di Venere. La posa delle mani, una adagiata nel grembo, l’altra sul seno, segue il modello della “Venere pudica” della statuaria classica: un gesto di pudore che tuttavia orienta lo sguardo dell’osservatore proprio su ciò che si vorrebbe nascondere. Simboli della dea dell’amore sono anche il bracciale della donna su cui si legge Raphael Urbinas, firma dell’autore e pegno di vincolo amoroso, nonché, sullo sfondo, il cespuglio di mirto e il ramo di melo cotogno, simbolo di fertilità.
Il quadro apparteneva già ai primi proprietari del palazzo, gli Sforza di Santafiora, e fu uno dei primi ad essere acquistato dai Barberini.
- Deposizione di Cristo, 1507 – Galleria Borghese, Roma
La tavola fu commissionata da Atalanta Baglioni in memoria del figlio Grifonetto, ucciso durante una lotta fratricida per il possesso della signoria di Perugia. L’opera, utilizzata come pala d’altare nella chiesa di San Francesco, rimase nella città umbra per cento anni, finché una notte, con la complicità dei frati, fu prelevata di nascosto e inviata a Roma a papa Paolo V, che ne fece dono al nipote Scipione Borghese nel 1608. Raffaello mise in scena il dramma dell’episodio prendendo a modello il Compianto su Cristo morto di Perugino, che si trova a Palazzo Pitti, in cui Cristo è raffigurato disteso a terra secondo un’iconografia allora tradizionale. L’elevato numero di disegni preparatori documenta lo studio dall’antico e il laborioso evolversi del progetto compositivo, reso progressivamente più drammatico e dinamico nella nuova iconografia del “trasporto”. La novità compositiva della Deposizione segnò il superamento della tradizione umbro-toscana e aprí a un nuovo linguaggio espressivo, sintesi di un perfetto equilibrio tra idealizzazione formale ed espressione del sentimento, secondo uno stile a lungo ricercato nei modelli dell’antichità classica e caratteristico della successiva fase romana dell’artista.
- Trinità e Santi, 1505-1521- Cappella di San Severo, Perugia
Nella cappella di San Severo è conservata l'unica opera rimasta delle molte che Raffaello realizzò per la città di Perugia. Si tratta di un affresco raffigurante la Trinità con i santi Mauro, Placido, Benedetto martire e Giovanni monaco, commissionatogli nel 1505 dal vescovo Troilo Baglioni. L'opera, lasciata incompiuta per la chiamata di Raffaello da parte di papa Giulio II a Roma, fu completata nel 1521 dall'ormai anziano Pietro Perugino.
A lui si devono i Santi Scolastica, Girolamo, Giovanni Evangelista, Gregorio Magno, Bonifacio e Marta effigiati nella parte sottostante.
- Estasi di Santa Cecilia fra i Santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena, 1518 – Pinacoteca Nazionale Bologna
È il capolavoro della maturità di Raffaello che raffigura il momento dell’estasi di Santa Cecilia, in cui la santa lascia scivolare le canne dell’organo portativo che ha ancora tra le mani, simbolo delle gioie terrene e volge lo sguardo verso il coro degli angeli, emblema dell’amore divino. I santi che la circondano non vengono coinvolti nell’esperienza mistica di Cecilia, ma esprimono ugualmente, con il gioco degli sguardi, l’idea dell'amore assoluto in contrapposizione con l'amore terreno. San Paolo medita osservando gli strumenti musicali a terra, i santi Giovanni e Agostino sono concentrati in un intenso dialogo di sguardi, Maria Maddalena si rivolge all’osservatore invitandolo ad assistere al mistero e mostrando il vaso contenente l’olio con cui volle ungere i piedi di Cristo. Raffaello assegna alla figura umana il ruolo di elemento centrale della rappresentazione, riunendo il gruppo dei santi in uno spazio raccolto a semicerchio che allude all’abside di una chiesa e riducendo lo sfondo di paesaggio. Il dipinto fu eseguito a Roma e poi portato a Bologna per essere collocato nella chiesa di San Giovanni in Monte nella cappella della famiglia di Elena Duglioli dall’Olio. Elena era una donna colta, devota e dedita ad opere di carità, la cui vita era accomunata a quella di santa Cecilia per la castità vissuta all'interno del matrimonio e per le sue visioni mistiche. Il soggetto ruota, dunque intorno, all’identificazione tra Cecilia ed Elena rappresentata nell’iconografia dell’estasi.