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Caravaggio in Italia, le più belle opere da vedere

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Oggi è considerato uno dei più grandi interpreti dell’arte occidentale di tutti i tempi ma fu per lungo tempo dimenticato. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, si è fatto conoscere in tutto il mondo per le sue opere realistiche, drammatiche e provocatorie. 

Il pittore milanese rivoluzionò la storia dell’arte con la sua ricerca del naturalismo e la sua tecnica del chiaroscuro. Oggi i suoi dipinti sono conservati nei principali musei del mondo come il Louvre a Parigi, il Prado a Madrid, l’Ermitage a Sanpietroburgo, ma numerose opere sono esposte anche nei numerosi musei, chiese e cappelle d’Italia.

Ecco dove vedere le opere più belle di Caravaggio in Italia.

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10 opere di Caravaggio in Italia

  • Bacco, 1597-1598  – Gallerie degli Uffizi, Firenze
  • David con la testa di Golia, 1609-1610 – Galleria Borghese, Roma  
  • Canestra di frutta, 1594-1598 – Pinacoteca Ambrosiana, Milano 
  • Scudo con testa di Medusa, 1598 – Gallerie degli Uffizi, Firenze
  • Ragazzo morso da un ramarro, 1595-1596 – Fondazione Longhi, Firenze 
  • Vocazione di San Matteo, 1599 – Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma
  • Cena in Emmaus, 1605-1606 – Pinacoteca di Brera, Milano
  • Sette opere di misericordia, 1606-1607 – Pio Monte della Misericordia, Napoli 
  • Giuditta e Oloferne, 1599 – Palazzo Barberini, Roma 
  • Resurrezione di Lazzaro, 1609 – Museo Regionale di Messina

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Dove ammirare le opere di Caravaggio in Italia

Il dipinto si inserisce nella serie giovanile delle mezze figure dipinte da Caravaggio “in chiaro” che annovera opere come il Fruttaiolo, esposto alla Galleria Borghese di Roma, il Fanciullo morso dal ramarro della Fondazione Longhi di Firenze, il Canestro di frutta della Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Caravaggio, protagonista a Roma nella prima decade del Seicento di una rivoluzione in pittura che invase l’Europa intera, ostenta in quest’opera una magistrale resa naturalistica del mondo vegetale.

Sorprendente la rappresentazione del cesto di frutta e della coppa di vino offerto dal Dio, intesi da alcuni studiosi come invito oraziano alla vita frugale, alla convivialità e all’amicizia. La scultorea figura di Bacco dall’espressione stordita dal vino, è ispirata ai modelli dell’arte classica, in particolare ai ritratti di Antinoo, e appare intrisa di una sensualità languida. Mina Gregori vi ha letto una particolare visione dell’antichità inneggiante alla libertà dei sensi ed un riferimento ai riti iniziatici ed ai travestimenti bacchici che si praticavano a Roma. L’opera risale all’età giovanile del pittore, quando si trovava a Roma sotto la protezione del cardinale Francesco Maria del Monte. Questo dipinto, insieme alla Medusa, venne donato dal Cardinal del Monte a Ferdinando I de’ Medici in occasione della celebrazione delle nozze del figlio Cosimo II nel 1608.

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(Foto: © Takashi Images / Shutterstock)

Il dipinto fu eseguito con molta probabilità a Napoli, dove Caravaggio, fuggito da Roma nel 1606, si trovava in esilio per l’accusa di omicidio. L’opera rappresenta la vittoria dell’eroe d’Israele sul gigante filisteo Golia. David però non manifesta un fiero atteggiamento di trionfo mentre regge e osserva il capo mozzato di Golia; la sua espressione è piuttosto di pietà verso quel “peccatore”, nel cui viso Caravaggio avrebbe raffigurato il proprio autoritratto. La descrizione del volto di Golia, così vividamente espressiva nella fronte corrugata, la bocca spalancata per l’ultimo respiro, lo sguardo sofferente, l’incarnato esanime, rappresenta il risultato del dramma umano vissuto dall’artista. L’iscrizione che compare sulla spada “H.AS O S” è stata interpretata dalla critica con il motto agostiniano Humilitas occidit superbiam.

L’episodio biblico diventa quindi impressionante testimonianza degli ultimi mesi di vita di Caravaggio, rendendo plausibile l’ipotesi secondo la quale il pittore avrebbe inviato la tela al cardinale Scipione Borghese, quale dono da recapitare al pontefice Paolo V per ottenere il perdono e il ritorno in patria. La grazia fu accordata ma Caravaggio, quasi al termine del viaggio verso Roma, morì sulla spiaggia di Porto Ercole per circostanze ancora misteriose.

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(Foto: © Franco Origlia/Getty Images)

  • Canestra di frutta, 1594-1598 – Pinacoteca Ambrosiana, Milano 

E’ probabilmente l’opera più celebre presente nella collezione del cardinale Federico Borromeo, nucleo originario della Pinacoteca Ambrosiana, ed è giustamente considerata una sorta di prototipo della “natura morta”. Il dipinto rappresenta un canestro di vimini da cui traboccano frutti e foglie, eseguiti con grande realismo e cura del dettaglio. Più volte il fondatore della Pinacoteca Ambrosiana parla di questo dipinto straordinario nei suoi scritti e afferma di aver cercato invano un’opera che potesse starle a confronto, ma esso “per la sua incomparabile bellezza ed eccellenza, rimase solo”. Della Canestra di frutta sono state date molte interpretazioni, anche di carattere religioso: indubbiamente l’estremo realismo con cui sono accostati i frutti freschi e quelli ormai bacati, e le foglie, che progressivamente seccano accartocciandosi, rappresentano lo scorrere inesorabile del tempo.

  • Scudo con testa di Medusa, 1598 – Gallerie degli Uffizi, Firenze

Caravaggio rappresenta la leggendaria Medusa che con il solo sguardo riesce a tramutare gli uomini in pietra e lo fa su uno scudo da parata, tipico del Cinquecento. La testa di Medusa è raffigurata staccata dal corpo, per mano di Perseo. La sua espressione è piena di pathos, poiché la figura mitologica è colta nel momento dell’urlo.

Da notare il realismo del maestro nello schizzo di sangue e nella rappresentazione delle serpi, che formano la capigliatura di Medusa. Quel che più sorprende è l’abilità di Caravaggio nel trasformare la convessità dello scudo in un’apparente concavità. 

  • Ragazzo morso da un ramarro, 1595-1596 – Fondazione Longhi, Firenze 

Ragazzo morso da un ramarro è un dipinto ad olio di cui esistono due versioni quasi simili. La prima, conservata presso la Fondazione Longhi a Firenze, è sicuramene opera del pittore italiano Caravaggio. La seconda, conservata alla National Gallery di Londra, è forse opera in gran parte di un allievo. Il dipinto raffigura un ragazzo in una posizione scomposta, dall’espressione dolorante e sorpresa allo stesso tempo, mentre viene morso da un ramarro. Molti hanno voluto leggere nell’opera riferimenti al piacere e alle pene d’amore: la rosa tra i capelli del ragazzo, la spalla destra scoperta, le ciliegie e il gelsomino bianco ne sarebbero simboli. Da notare poi, il riflesso sulla caraffa di vetro, che rimanda alla fedeltà ottica al reale, sviluppata nella scuola lombarda sulla scia degli studi leonardeschi. Tre le fonti d’ispirazione più accreditate, lo schizzo Asdrubale morso da un granchio o Asdrubale morso da un gambero di Sofonisba Anguissola, datato 1554, che venne spedito all’artista durante uno dei carteggi con il padre della pittrice. 

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(Foto: © MIGUEL MEDINA/AFP via Getty Images)

  • Vocazione di San Matteo, 1599 – Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma

L’opera fu la prima committenza sacra e pubblica di Caravaggio eppure è considerata una dei suoi maggiori capolavori. Si trova sulla parete sinistra della cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi di Roma. Il dipinto si ispira all’episodio del Vangelo di Matteo e rappresenta il momento in cui il Cristo accompagnato da San Pietro, punta il dito verso Matteo e lo invita a seguirlo.

Matteo è, come in una scena da osteria, seduto ad un tavolo con un gruppo di altri avventori, vestiti secondo la moda contemporanea, intenti a contare del denaro. Per enfatizzare la drammaticità del momento e concentrare l’attenzione dell’osservatore sui protagonisti, Caravaggio immerge la scena in una densa oscurità dalla quale, grazie a improvvisi squarci di luce, emergono volti, mani, gesti, attitudini, rendendo quasi invisibile tutto il resto. È evidente, più che in altre opere, la tecnica del chiaroscuro di cui Michelangelo fu maestro. La vera protagonista dell’opera, dunque, è la luce che, provenendo dalle spalle del Cristo come Grazia divina, inonda gli uomini, i quali tuttavia sembrano rimanere liberi di scegliere se aderire o meno al progetto divino. Solo alcuni dei personaggi investiti dal raggio di luce, i destinatari della “chiamata” insieme a Matteo, si mostrano attratti dalla figura del Cristo, mentre altri sono distratti dalle occupazioni terrene. Con gran stupore San Matteo punta il dito contro sé stesso come se chiedesse a Cristo conferma che il prescelto sia proprio lui. 

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(Foto: © Lucas Schifres / Getty Images)

  • La conversione di San Paolo, 1600-1601 – Basilica Santa Maria del Popolo, Roma

In questa tela esposta nella Cappella Cerasi della Basilica Santa Maria del Popolo di Roma, Caravaggio rappresenta la scena narrata negli Atti degli Apostoli, ovvero il momento in cui Saulo di Tarso, un soldato romano in viaggio a cavallo, venne folgorato sulla via di Damasco da una fortissima luce. Si trattava di Cristo che, circondato da un alone luminoso, disse al soldato di abbandonare la sua vita di soldato e di non perseguitare più i cristiani. Caravaggio quindi non raffigura Cristo, se non attraverso una semplice e intensa luce, e lascia emergere la conversione di Saulo dai suoi occhi chiusi e le mani tese verso l’alto.

Caravaggio rimane come sempre aderente alla realtà.

Caravaggio dipinse la Cena in Emmaus tra il 1605 e il 1606, probabilmente a Paliano, feudo dei Colonna, presso i quali si era rifugiato dopo aver ucciso Ranuccio Tomassoni. Due sono le opere sullo stesso episodio del Vangelo di Luca, questa conservata alla Pinacoteca di Brera di Milano e una seconda che oggi si trova alla National Gallery di Londra. La rappresentazione del tavolo ricoperto da un tappeto è un motivo tipico di Caravaggio e che accomuna le due versioni. A differenza però del dipinto della National Gallery, questo di Milano si caratterizza per una maggiore intimità ed essenzialità cromatica, insieme ad un uso drammatico e teatrale della luce che mettono in risalto la sacralità del momento. 

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(Foto: © Mondadori Portfolio/ Getty Images)

  • Sette opere di misericordia, 1606-1607 – Pio Monte della Misericordia, Napoli 

È una delle opere più ardite ed enigmatiche di Caravaggio. In una sola grande tela, commissionata dal Pio Monte della Misericordia di Napoli, sono raffigurate le sei opere di misericordia annunciate da Cristo nel Vangelo di Matteo, cui si aggiunge la sepoltura dei morti. 

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Caravaggio rappresenta con grande realismo un intreccio di personaggi ispirati a gente di strada, disposti in una complessa composizione dalla grande teatralità in cui tutto è buio e luce allo stesso tempo. L’opera diventa così un punto di riferimento per i pittori locali, legati ad una pittura devota e tardo-manieristica, aprendo così la nuova stagione seicentesca del naturalismo a Napoli. 

  • Giuditta e Oloferne, 1599 – Palazzo Barberini, Roma 

Tre personaggi e un drappo rosso sullo sfondo bastano per dar vita a un vero e proprio teatro dei contrari: buio e luce, vecchiaia e giovinezza, vita e morte, forza e fragilità. Giuditta è un’eroina del Vecchio Testamento, una giovane vedova ebrea che salva il suo popolo dall’assedio dell’esercito assiro.

Finge di volersi alleare con il nemico e uccide con le proprie mani il generale Oloferne, dopo essere stata accolta nell’accampamento con un fastoso banchetto. La scena dell’uccisione di Oloferne da parte di Giuditta è un’iconografia frequente fin dal ‘400, ma non era mai stata rappresentata con tale cruenta spettacolarità. Nel dipinto di Caravaggio la scimitarra è in pieno affondo, si vede l’energia nelle mani e negli arti contratti di Oloferne, la sua bocca è spalancata in un grido che sta per spegnersi, il fiotto di sangue non ha ancora esaurito il suo getto, come se Caravaggio avesse voluto bloccare l’azione nel suo svolgimento. La fonte di luce, in alto a sinistra, investe per intero l’esile figura di Giuditta, con la fronte aggrottata, nello sforzo di compiere l’orrido gesto; accanto a lei si vede l’ancella Abra. Questa importante opera di Caravaggio inaugura la fase dei forti contrasti tra luce e ombra. Commissionato dal banchiere Ottavio Costa, del dipinto, però, si persero le tracce per secoli, e venne ritrovato solo nel 1951 dal restauratore Pico Cellini, quasi per caso, presso la famiglia che ne era in possesso. 

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(Foto: © DEA / G. NIMATALLAH / Getty Images)

  • Resurrezione di Lazzaro, 1609 – Museo Regionale di Messina

L’opera è considerata oggi uno dei capolavori di Caravaggio, ma in passato lo stato di conservazione, la forte dominante scura e la tecnica di stesura essenziale hanno suscitato molti dubbi sull’autografia. Commissionata dal mercante genovese, residente a Messina, Giovanni Battista de’ Lazzari per la chiesa dei Padri Crociferi, il dipinto rappresenta la resurrezione di Lazzaro, come raccontato nel Vangelo di Giovanni. Due figure dominano la scena: Gesù, in piedi, in un gesto del braccio che rimanda alla Vocazione di San Matteo, e Lazzaro, colto nel gesto di stiracchiarsi per risvegliarsi dal sonno eterno.

Allo stesso tempo, però, il corpo di Lazzaro rappresenta anche la croce, simbolo di morte e resurrezione di Gesù. Intorno a Lazzaro si vedono le due sorelle Marta e Maria raccolte in un gesto d’amore. In secondo piano, si nota poi l’autoritratto del pittore. È un’opera che rivela la grande maturità di Caravaggio, che ormai sfoggia tutti i segreti della sua arte, dalla grande capacità di rendere gli stati d’animo alla teatralità e al chiaroscuro. 

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